L’ennesima mostra su Venezia? No, un’analisi sul mondo e sulle nuove regole economiche e sociali dettate dai flussi di migranti. Che, muovendosi, incontrandosi, scontrandosi, generano nuove identità culturali…

L’arte al servizio della sociologia, dell’antropologia, dell’economia, nel non luogo simbolo della compenetrazione culturale, della vendita e della svendita dei principi identitari, della convivenza e della connivenza, in cui la perdita della memoria storica e la sua antitetica conservazione coesistono in molti racconti umani che, oggi come ieri, parlano di contemporaneità. Come i grandi teleri di Vittore Carpaccio narrano una società rinascimentale veneziana multietnica e in parte già orientata al global net, così oggi figure allogene di venditori di merci contraffatte si stagliano pacificamente sullo sfondo di una Basilica sempre più metafora di un culto laico e depotenziato dei fasti che furono. Una conquista multiculturale che ha coinciso in maniera inversamente proporzionale con la perdita dell’identità comunitaria. Delimitato perciò un territorio urbano, il progetto di Wolfgang Scheppe, avviato nell’inverno del 2006 come esperienza didattica in collaborazione con gli studenti internazionali del corso Iuav di Politiche della Rappresentazione, si è posto come fine l’analisi delle nuove dinamiche socio-economiche che stanno alla base della nuova realtà urbana lagunare, modificandone giornalmente le abitudini e, come ovvia conseguenza, l’aspetto del territorio. Un’azione di ricerca e analisi organica, diramata lungo i percorsi, gli svincoli nodali, le variabili e le mutazioni che una società migrante sviluppa all’interno della propria complessità, durata tre anni e articolata lungo tre fasi: la prima teorica, per stabilire in circa 1300 pagine di materiale e circa 60mila immagini le basi della ricerca da condurre; la seconda, nel 2008, per affinare una struttura in grado di organizzare e rendere leggibili i risultati ottenuti in un sintagma di visualizzazioni di dati e immagini; la terza operativa, con l’esposizione del caso-Venezia. Il ‘caso’, anagrammato in ‘caos’, introduce la teoria di Baudrillard della perdita dell’originale attraverso le sue copie; la lettura d’insieme della mostra è complesso almeno quanto la comprensione della città odierna che, privata della fiducia nella propria unicità, si rifugia nell’ideologia del multiplo d’autore - deprezzato dalla tiratura illimitata - apparentemente fortificandosi nel brand d’autore (il leone andante riletto da Philippe Starck è emblematico), in realtà mostrando, vulnerabile, il fianco scoperto. Le maschere e i merletti (made in somewhere) assumono la stessa valenza culturale del kebab, divenuto ormai piatto tipico della città. Il ponte di Calatrava, testimone del nuovo che penetra Venezia, monitora i due accessi nevralgici alla città la quale, riservando l’ingresso acqueo solo alle navi da crociera, si riscopre sempre più appendice isolata della terraferma. Un plastico tridimensionale, costruito sul gioco del Monopoli (The Gameboard and the Chapter Structure), paradigma visivo situazionista e schema logico del progetto, ricorda come tutto sia ormai vittima della fortuna e dell’economia.

La serie di immagini fotografiche, di case study, di motion pattern, di mappe, di dati statistici dipingono etnie un tempo lontane che interpretano il paradosso veneziano, cioè l’abitare un luogo ripudiato in toto dagli autoctoni e in cerca di nuove identità, traducendo il loro imperturbabile vivere la città senza fratture, come una tappa - forse definitiva - del lungo viaggio di migranti.