MIGROPOLIS è un progetto di grandi proporzioni riguardante la trasversalità di un territorio urbano sottoposto alle condizioni della globalizzazione. Il termine “globalizzazione”, sostenuto dal consenso sociale, funziona soltanto come forma presunta e fittizia di conoscenza che nasconde una vuota astrazione. Migropolis esplora il sistema della globalizzazione per mezzo di un’esposizione concreta, minuziosa e tangibile delle strutture globali all’interno di un territorio urbano delimitato. Le pratiche adottate per raggiungere questo scopo si basano su una forma di détournement che consiste nel riapplicare i modi affermativi e le tecniche visive tipiche della società dello spettacolo in un modo discorsivo. L’area metropolitana di Venezia è investigata empiricamente come un paradigma complesso e paradossale, perchè esposto eccezionalmente al cambiamento dovuto alla connettività mondiale e all’interdipendenza dei valori predominanti dell’economia e della cultura. Lo scopo del progetto è di sviluppare strategie visive per far emergere le strutture di MIGROPOLIS, basandole sul territorio veneziano, che agisce come modello anticipatore della globalizzazione a causa del numero eccessivo di turisti e di immigrati con cui si confronta. Nella pervasiva società dello spettacolo, si riscontra una quasi assoluta egemonia dell’immagine mediatica. Riflettendo su questo, il progetto cerca di rappresentare visivamente fenomeni ben precisi nella città della migrazione con nuovi metodi cognitivi nel campo della fotografia, della visualizzazione dei dati e delle tecnologie basate sull’immagine. Il focus è sulla rappresentazione di atti di comunicazione discorsivi, in opposizione a quelli persuasivi. Questo approccio metodologico specifico è basato su un dubbio epistemologico nelle proprietà cognitive della visualizzazione nel contesto di una società in cui il consenso pubblico si costruisce attraverso la retorica delle immagini. I collaboratori hanno cercato di esplorare le possibilità e le tecniche dei linguaggi visivi nel cuore stesso di un’infrastruttura sociale iconografica il cui scopo è affermativo, non critico, rispetto alle immagini. La cultura mediatica si basa sulla messa in scena come modo di produzione delle immagini. Il progetto invece cerca di offrire nuove vie d’accesso a una pratica dell’immagine discorsiva. La pratica sarà stabilita in tutti i generi di comunicazione visiva: sistemi notazionali usati per mostrare dati quantitativi. Mappe e cartografie per tracciare i percorsi di movimento delle merci e delle persone. Fotografia per mostrare dati qualitativi e case studies. E infine una rielaborazione grafica per rappresentare analisi psicogeografiche del territorio in questione. Oggetto della teoria e della pratica legata a MIGROPOLIS è la visualizzazione delle tracce della migrazione in un contesto urbano. Lo scopo del progetto coinvolge almeno tre categorie di entità migratorie trovate nell’area urbana della ricerca:

  1. La migrazione come campo di un conflitto, dove si incontrano due forme di mobilità, una basata sul benessere, l’altra sulla povertà, materializzate da una parte nel flusso dei turisti, dall’altra nella presenza di immigrati legali, ma soprattutto illegali. Sarà posta particolare enfasi sull’indagine dei sistemi di economia parallela, e dei casi di segregazione e di eterotopia.

  2. La migrazione di merci, prodotti e servizi come risultato della liberalizzazione e della deregolamentazione del commercio internazionale, del movimento di capitali e dell’integrazione dei mercati finanziari. Quello che è ancora accettato dal turismo di massa come prodotto endemico proveniente da un patrimonio culturale locale e che quindi è chiamato a svolgere il ruolo di souvenir, è stato già da tempo prodotto in Estremo Oriente.

  3. La migrazione dell’immagine, come si può osservare nella distribuzione globale, nella dislocazione e nello spostamento dei tropi iconografici della Venezia storica. L’iperbole di Baudrillard della perdita dell’originale attraverso le sue copie è dimostrata nella tendenza della città a riprodursi in repliche multiple, con il risultato di apparire anch’essa alla fine come una pura copia.

La prima fase del progetto è iniziata nell’inverno del 2006, e ha stabilito i fondamenti teorici di questo progetto attraverso la produzione di più di 1300 pagine: queste erano una composizione variegata di sistemi notazionali e di grafici, case studies e archivi fotografici. L’archivio fotografico intero contiene da solo più di 60,000 immagini e 10 terabytes di case studies, motion patterns, mappe e dati statistici. La seconda fase del progetto nel 2008 è consistita nell’affinamento di una struttura per organizzare e mostrare i risultati in un sintagma di visualizzazione di dati e immagini. La mostra, a cura di Wolfgang Scheppe, Veronica Bellei, Katerina Dolejsova e Nera Kelava, è accompagnata da un libro pubblicato da Hatje Cantz, con prefazione di Angela Vettese e saggi di Giorgio Agamben, Valeria Burgio, Wolfgang Scheppe.