LO STILE DI VITA URBANO E LA “DERIVA” DI UN’EPOCA CHE HA FONDATO LA SUA INDENTITÀ SULLA MERCIFICAZIONE DI TUTTO IN UN PROGETTO DI TRE ARTISTI CHE PER DIVERSI ANNI HANNO GIRATO PER LE CITTÀ AMERICANE RACCOGLIENDO “INDIZI”. NASCE COSÌ ENDCOMMERCIAL®,ILVOLUME CHE PARLA DELLA FINE DELL’ERA ECONOMICA ATTRAVERSO UNA SORTA DI ALBUM FOTOGRAFICO RIPARTITO PER CAPITOLI, “FILOSOFICI”. UN LIBRO UNA MOSTRA PER CELEBRARE IL DECLINO DEL MARKET.

Quella merce e’ illusoria

New York è solo un “dettaglio”, non un luogo unitario ma una sorta di spazio mentale fatto di tanti invisibili tasselli, dove si incontrano giorno dopo giorno le “cose quotidiane”. New York allora è un oggetto che si fa seriale e ossessivamente ripete la sua forma in strada, davanti alle vetrine, nello skyline della città. E’ così che Endcommercial® - libro profondamente vissuto e “vissuto” dai suoi tre autori Florian Boehm, Luca Pizzaroni, Wolfgang Scheppe (edizioni Hatje Cantz , pp.544, 39,80 euro) - si incarna in un’immaginaria città-mondo e preleva campioni scientifici (plastiche, bottiglie, cassette, buste per la spesa, cassonetti per l’immondizia, carrelli multiuso, insegne fino alle facciate degli edifici e ai graffiti sui muri) dalle sue piazze o vicoli, per condurre una originale indagine, una lettura trasversale dell’antropologia sociale/umana che si trova a passare per quegli anfratti metropolitani. Il risultato è un sistema alternativo che si sviluppa parallelamente a quello economico, un’abitudine alla reinterpretazione dei dati in campo che rende lo shopping un’attitudine archeologica. Il volume, denso di fotografie da sfogliarsi in sequenza come fossero un film,con mille locations e set differenti, diventa dunque un inventario dell’urban life, in questo caso Americana ma gli scatti potrebbero essere stati presi un po’ ovunque,vista la globalizzazione imperante. Endcommercial® (fino ad oggi in mostra e acquistabile alla Fondazione Olivetti di Roma, Via Zanardelli 34) ruba il titolo a una suggestiva insegna stradale di San Francisco e fa di quel “capolinea” virtuale un confine invalicabile del sistema capitalistico. Oltre, il nulla, il deserto, il non-commerciabile. Il libro, già presentato a Berlino e a New York, prossima tappa per Dicembre alla Fondazione Cartier di Parigi, è piuttosto un progetto, una ricerca iconografica che sceglie di operare per via di similarità e ricorrenza invece che per diversità e deviazioni. E’ diviso per capitoli, o meglio per “intermittenze del cuore”, accostamenti di oggetti e emozioni che classificano il panorama urbano. Dietro quest’opera “fenomenologica” ci sono quattro intensi anni di lavoro e tre personalità (Scheppe, tedesco, background accademico e uno studio tra Monaco e New York che si occupa di strategie della comunicazione; Boehm graphic designer e videoartista, Pizzaroni, classe 1970,romano che nella città della Grande Melaha inventato l’Open cine, festival di film d’autore in spazi pubblici con proiezioni gratuite).Tutti hanno però “campionato” la città utilizzando la medesima griglia teorica: decifrando il sistema il sistema economico e le sue contraddizioni, a partire dal basso,dale piccole cose, apparentemente insignificanti. E come metafora della “fine” del commercial system hanno individuato l’idea del libero riciclo delle merci, il cambio della loro destinazione d’uso, l’autodistruzione del market che si fa sì che una semplice cassetta per la frutta diventi una sedia per un fioraio. In “Street vendors”, ad esempio, i tre artisti hanno scelto di fotografare le bancarelle di cianfrusaglie che sostano di fronte ai grandi negozi della moda e alle gioiellerie celeberrime tipo Tiffany. Templi in marmo, immortali come le lapidi dei cimiteri (altro parallelismo),monumenti del commercio di lusso si confrontano con il nomadismo del “carrettino”, con l’ambulante di turno che pubblicizza la sua merce da quattro soldi,spesso caricature delle griffe che contano. I “codici” per imparare a leggere dentro la metropolis sono infiniti,vanno soltanto ordinati per “generi” e il gioco e’ fatto.Accade così che Labels, etichette,nella selva di stratificazioni segniche dei cartelloni,si trasformino non in uno spot ma in una traccia della memoria,quasi una “dissolvenza” poetica di una parola che non ha piu’ alcun connotato commerciale. E’ un processo inarrestabile e se la merce =urbana” perde il suo valore di feticcio finisce per incorporare dentro di se’ il suo stesso declino (introiettando la precarietà e accettando il suo riciclo creativo,fuori dal mercato).Il sovraccarico di àproposte” porta inevitabilmente ad una sparizione dell’oggetto/soggetto e conduce a quell’ endcommercial suggerito dal libro,ultima frontiera del consumo di massa,ovvero una specie di dis-identificazione dove ogni cosa o rituale viene spostata rispetto al suo centro,disorienta il fruitore oppure dà coesione alle diverse comunità,con il suo stravagante/meticcio utilizzo.